Mario Crespan

Per scrivere di Mario Crespan non mi basterebbero cento pagine e, nello stesso tempo, mi accontenterei di cinque parole: è il mio migliore amico.
L’ho conosciuto relativamente tardi, nel 1995, proprio a Treviso, al termine di una mia serata in cui non ero stato già bene e avevo presentato un libro addirittura scritto male. Ma tra il pubblico in sala mi avevano colpito le sue domande pertinenti, profonde e sorprendentemente confidenziali. Così che per il breve rinfresco che seguì con i locali organizzatori del Club Alpino Italiano lo avvicinai e gli chiesi di fermarsi, mentre lui stava tosto rincasando, non essendo affatto un indiscreto o un bevitore. Scambiammo altre quattro chiacchiere, nonché i rispettivi numeri di telefono.
Sì, mi piaceva.
E la conferma arrivò presto, allorché mi venne a trovare a Cimolais. Parlammo a lungo. Delle montagne ovviamente, di politica e cultura e dell’umanità intera. Di ciò di cui fin da ragazzi si aspira, della visione del mondo. Sì, ero sulla sua strada (giacché lui è più anziano di me!). Sulla strada d’altronde di molti, anche se purtroppo non della maggioranza. Quella della legge morale dentro di sé e del cielo stellato sopra di sé.
Ripartì dimenticandosi il portafogli sul tetto della macchina. Perché se tuttora io lo ritengo un genio, lo so inoltre distrattone. Mi chiamò al suo rientro a Carbonera e assieme a qualche cimoliano battei con la pila al buio, di notte, i lati della statale fin quasi al Passo di Sant’Osvaldo. Niente. Il portafogli glielo aveva recuperato comunque una turista bellunese.
È un fortunato, Mario. Il suo cielo è fatto di mille e mille scalate, corse, sciate e pedalate, su in montagna. È uomo morale, davanti all’essere alpinista, corridore, sciatore e ciclista.
È violinista, chitarrista, classico e rocker, scrittore, pubblicista, architetto, grafico, fotografo, francesista, cintura nera di karate, enigmista, instancabile lettore, professore, acuto osservatore e ghiottissimo della pizza al tonno.
Disegna e dipinge da Dio.
Molto altro, di certo, lo sto dimenticando. Meglio così, non finiremo mai di scoprirlo. Ah, ama i gatti! Basta però. Non finirà mai di scoprirsi.
Mi rincuorò da subito, aiutandomi a elaborare il lutto che mi attanagliava la nostra prima sera e incoraggiandomi a proposito dei peccati di quel libro ormai stampato che mi sarebbe in ogni modo servito come passaggio per migliorare i prossimi. È diventato poi il mio testimone di nozze e la sua sposa Paola è a sua volta testimone della mia, Claudia.
Abbiamo superato vari screzi. Memorabile fu quello riguardante l’uso del dialetto, che lui difendeva e io invece criticavo. Mi tirò fuori, furbo, Pier Paolo Pasolini e Andrea Zanzotto. E mentre lavoriamo al computer, impaginando e tracciando, correggendo e modificando, difficilmente siamo d’accordo. Io spesso gli dico: «Tu mi vuoi bene ma non mi stimi». Lui se la ride, allora. Mi domanda per esempio se un’altura dello Sciliar si chiama Cranzes o Kranzes, vado a controllare sull’apposito volume della Guida dei Monti d’Italia di Arturo Tanesini e gli rispondo Cranzes, sceglie – potevo scommetterci – Kranzes. Mi ha persino beccato una dorsale parallela e misteriosa, a oriente delle Crepe di Lausa nel Gruppo del Catinaccio, che io avevo apposto in una precedente cartina topografica riprendendola dal Tanesini medesimo e che tuttavia non esiste. Ci aveva ragione lui, ci aveva, lui e i suoi sopralluoghi continui, le sue cento immagini incrociate, il suo sapere leggere il terreno.
Lavoriamo senza guadagno ai nostri di volumi o a quelli d’altri autori che editiamo per passione e convinzione. Ricerchiamo, nel nostro piccolo, la qualità. Siam soddisfatti, infine. Con umiltà. Non esaltandoci benché fieri e orgogliosi.
Sui monti, insieme, va avanti sempre lui, più esperto. Scendendo, se attardati, è costretto a stare dietro: ha scordato a casa o nell’auto la frontale.
La sua automobile. Odia un’Apecar a farle da tappo. Corre veloce, malgrado lui non l’ammetta. Per limitarci all’ultima estate, ripartendo si è liberata di due bastoncini dimenticati sul tetto al parcheggio ampezzano di Podestagno. Una coppia di ulteriori racchette, rinnovata, è rimasta per fortuna incastrata sul solito tetto da Pratopiazza fino a San Pietro, nel Comelico.
Distratto dunque?
Certamente, verso le cazzate. Preciso sino al midollo, in ciò che conta. Mi ha mostrato, di recente, gli originali delle oltre sessanta locandine che ha illustrato in passato per gli incontri pubblici del CAI trevisano. Dei capolavori!
E cosa mi viene in mente ancora, nell’occasione di tale mostra per la quale espone una ventina delle locandine in questione? Mi ritorna uno dei suoi vecchi e gustosi racconti dei tempi in cui non lo conoscevo. Di quando lui e il suo storico compagno di avventure Adriano Cason incontravano la mitica segretaria del loro sodalizio, Maria Telene Maggio, informandola della salita che avevano in programma. Lei, che a tutti dava del “lei” e da tutti otteneva il “lei” tranne nel caso di Adriano, non mancava quindi di raccomandare: «Ce l’avete il cordino da valanga?». Ricevendo in risposta: «Vai in mona de to sorea, Telene!».
«Non si offendeva?», avevo chiesto a Mario alla fine della storia. «Macché,» mi aveva risposto, «ci voleva un gran bene».

Luca Visentini